Dōjō, comunemente trascritto dojo, è una parola giapponese il cui significato etimologico è luogo (jō) dove si segue la via (dō). La sua derivazione è cinese, in origine designava il luogo in cui il Buddha ottenne il risveglio e, per estensione, i luoghi deputati alla pratica religiosa nei templi buddhisti.
Venne in seguito usato nel mondo militare e nella pratica del Bujutsu, l'antica arte marziale utilizzata nel medioevo nipponico dai guerrieri samurai, diffondendosi sino ai giorni nostri nel mondo delle arti marziali.
I dojo erano spesso piccoli locali, posti nelle vicinanze di un tempio o di un castello, preferibilmente ai margini delle foreste, così da preservare i segreti delle tecniche insegnate. In seguito alla diffusione delle arti marziali sorsero numerosi dojo, luoghi rispettati e “venerati” dai maestri e praticanti. In essi si respirava un’atmosfera di dignità e virtù. Erano abbelliti con lavori di calligrafia e oggetti preparati dagli stessi allievi, spesso su una parete veniva posto uno scrigno quale simbolo di valori e virtù, in alcuni si adibivano degli altari chiamati “kamiza” (tr. sede degli Dei), dedicati al ricordo di un grande maestro defunto. Il dojo veniva vissuto come simbolo della Via dell'arte marziale, perfetta unità tra Zen (tr. mente) e Ken (tr. corpo).
Il dojo è la scuola del sensei (maestro), di cui rappresenta il vertice. Oltre ci sono altri insegnanti, suoi allievi, ed i senpai (allievi anziani di grado) che, con il loro comportamento, fungono, insieme al Maestro, da guida per gli altri praticanti. Il dojo non è solo spazio di allenamento fisico, ma anche immagine di un atteggiamento. L'allievo che entra nel dojo deve lasciare alle spalle tutti i problemi della quotidianità, purificarsi la mente e concentrarsi sull'allenamento. Il dojo è la riproduzione in piccolo di una società, con regole che devono essere rispettate. Norme che vanno dalla cura della persona (pulizia e decoro), del kimono (che deve essere pulito, senza disegni o orpelli oltre il simbolo della scuola), a quelle relative al comportamento (non urlare, non sporcare, non fumare, non portare orecchini od altri abbellimenti, per evitare di ferirsi o di ferire gli altri, rispetto dell’altro). Quando gli allievi indossano il kimono diventano tutti uguali; la condizione sociale o professionale resta negli spogliatoi, per il maestro tutti sono sullo stesso piano.
Nel dojo non si usa la violenza. Le arti marziali enfatizzano la forza mentale e non quella fisica, condannata prima o poi ad affievolirsi.
Fondamentale, quando si entra e si esce dal dojo è il saluto. Ci si inchina quale segno di rispetto e ringraziamento. Una pratica antica, che ancora oggi permane in certi dojo, è il rito del “soji” (tr. pulizia). Al termine dell’allenamento, gli allievi puliscono il tatami e mettono in ordine per gli allenamenti successivi. Tale gesto è il simbolo della purificazione del corpo e della mente. I praticanti si preparano, in tal modo, ad affrontare il mondo esterno con umiltà, dote necessaria per una vita in linea con i principi insegnati dai Grandi Maestri del mondo delle arti marziali.